Nel progetto "La mente, il corpo e lo spirito" parliamo di procrastinazione. È quel piccolo intervallo che intercorre tra il momento in cui pensiamo di affrontare una determinata incombenza e quello in cui, dopo qualche esitazione, decidiamo di rinunciare e rimandare ad un altro momento.
A chi non capita di rimandare una telefonata o di dilungarsi in inutili preparativi oppure di decidere di riordinare l’ufficio quando invece si dovrebbe lavorare e di sapere che c’è ancora tempo per preparare quel compito di lavoro noioso.
Capita a tutti di pensare che è meglio iniziare a lavorare ad un determinato progetto “domani”, di affannarsi per rispettare una scadenza o preparare un esame. Non è meglio organizzarsi ed evitare il panico dell’ultimo minuto?
Procrastinare è facile e consente per un po’ di sentirsi a proprio agio in una dimensione sospesa, dove non ci sono impegni e richieste. Rallenta la nostra marcia ma è un comportamento che a lungo andare diventa un difetto, dona una piacevole sensazione di benessere e solleva temporaneamente dallo stress. In questo procrastinare qualcuno riesce a rimanere relativamente sereno. Ma la maggior parte di coloro che usa spesso la procrastinazione come strategia non riesce in realtà a rilassarsi, raggiungere gli obiettivi e oziare in tranquillità. Il cervello continua a ricordare che c’è qualcosa da fare. È una sensazione fastidiosa, che impedisce di godere quella pace e quella serenità che il fatto stesso di rimandare qualcosa di spiacevole dovrebbe procurare. Difatti, l’obiettivo del procrastinare dovrebbe essere quello di sollevare, almeno temporaneamente, dalla preoccupazione derivante da una determinata incombenza.
La procrastinazione, se praticata con continuità, diventa un vero e proprio difetto e un automatismo a cui si ricorre anche in modo inconsapevole. E allora perché la scelta di procrastinare porta con se disagio e senso di colpa? Perché non riusciamo a conviverci serenamente? Sicuramente in molti casi si tratta di un vero e proprio automatismo, che procura un effetto di sollievo, anche se solo temporaneo. Ed è del tutto istintivo per noi cercare di allontanare qualcosa di spiacevole o aggirare un ostacolo. Molti tendono ad associare la procrastinazione ad una sorta di “tratto della personalità”.
Ovviamente per alcune persone coesistono più fattori che contribuiscono al comportamento problematico di procrastinazione. Conoscere la motivazioni alla base del proprio comportamento può essere molto utile. Ma dobbiamo anche dire che nella maggior parte dei casi non si traduce automaticamente nella capacità di modificarlo. Per alcune persone il processo di cambiamento, che prevede di smettere di rimandare sempre tutto, è infatti lungo e faticoso. Però, partiamo dal presupposto che si tratta di un comportamento che ha i suoi motivi di esistere.
Ma da dove iniziare?
- Accrescere la consapevolezza e la motivazione.
La consapevolezza è potere! Fermarsi a riflettere sulle motivazioni della propria tendenza a procrastinare porta maggiore consapevolezza. Di conseguenza una maggiore possibilità di affrontare efficacemente il problema.
- Non cedere all’autocritica e al senso di colpa
Non cadere nella spirale del senso di colpa e del criticare se stessi: chi ha difficoltà a gestire l’impulso alla procrastinazione tende ad essere profondamente insoddisfatto di se stesso. In alcuni casi si automortifica definendosi pigro o fallito, aumentando il senso di colpa.
Molti possono essere i motivi che spingono questa tendenza a procrastinare. Capire le cause del proprio modo di comportarsi può sicuramente essere un primo utile passo verso il cambiamento. In generale possiamo dire che la procrastinazione può essere un modo per gestire un disagio emotivo.
Evitare qualcosa di pesante
Mancanza di organizzazione
Troppa insicurezza
Troppi impegni e non saper dire di no
Pigrizia e mancanza di interesse nel svolgere il compito
Poche capacità di gestire il tempo
I motivi possono essere diversi...è noioso portare la macchina a far lavare? Oppure uscire con la collega chiacchierona che non sta mai zitta? Oppure dover fare un compito in ufficio che invece doveva farlo il collega? Non è dignitoso un capoufficio che urla sempre e non ti fa parlare?
Allora cominciamo a capire il perchè di questo comportamento.
DOTT.SSA NATASCIA ROMENI
Psicologa